Un Rolex sulla vetta del mondo

Nel 1953 il neozelandese Edmund Percival Hillary divenne il primo uomo a raggiungere la vetta del Monte Everest. Al suo polso c’era un Rolex, che scandì secondo per secondo quella leggendaria sfida tra l’uomo e la montagna soprannominata il “Dio del Cielo”.

All’alba di un nuovo giorno di primavera del 1953, il non ancora Sir Edmund Percival Hillary rivolse il suo sguardo al cielo. Prima di esso, al limite che i suoi occhi celesti riuscivano appena scrutare, si stagliava una vetta distante 8.848 metri dal livello del mare. Era la bramata cima del monte Everest: il tetto del mondo che lo guardava dall’alto della sua magnificenza, come da sempre aveva guardato nei secoli i piccoli uomini che si apprestavano al suo cospetto. Fu allora forse, che il giovane neozelandese iniziò a tenere il tempo di quella sfida a sé stesso, e lo fece guardando il quadrante di un Oyster Perpetual fornitogli da una Casa di orologeria svizzera, nota già allora, e che sarebbe diventata, di lì a poco, tra le più famose di tutto il mondo in assoluto: la Rolex, marchio fondato da un giovane tedesco di Kulmbach (città della Baviera, in Germania), stabilitosi a Londra nel 1905, con l’obiettivo di realizzare l’ “horlogerie exquise“ (locuzione francese che sembra aver ispirato Hans Wilsdorf nel registrare il marchio Rolex nel 1908, ma è una pura supposizione).

Un pubblicità d’epoca che ritrae Sir Edmund Hillary, Lord John Hunt e Tenzing Norgay

Le lancette tipo Alpha di questo “prototipo” – perché di un prototipo appositamente costruito alcuni anni prima per sfidare elevate altitudini, basse pressioni e rigide temperature, si trattava – segnavano le 6.30 della mattina del 29 maggio, quando Hillary e il fidato sherpa Tenzing Norgay (allora considerato la migliore giuda di montagna del“mondo” – sono ritratti insieme durante la leggendaria impresa, nella foto in apertura -; al polso di Norgay vi era un Rolex Ovetto regalatogli da un amico alpinista svizzero, Raymond Lambert) lasciarono il  Campo IX per incamminarsi verso la cresta sud: l’unica praticabile allora, dato che dall’altra parte c’erano i comunisti cinesi che avevano occupato il Tibet, e che in piena Guerra Fredda non avrebbero visto di buon occhio una spedizione esplorativa guidata dal colonnello britannico John Hunt, ufficiale operativo del quartier generale della NATO in Europa (Shape, ndr).

Oyster Perpetual – Officially Certified Chronometer del 1953, modello simile a quello indossato da Edmund Hillary durante l’ascesa verso la vetta dell’Everest, il 29 maggio del 1953. Quello dell’esploratore-alpinista neozelandese differisce, tra l’altro, per due dettagli sul quadrante: la parola “Officially” scritta in rosso e sopra “Certified”; l’indicazione al 6 “Swiss Made” e non solo “Swiss”.  

L’orologio che cingeva il polso del temerario esploratore era, come detto, un Oyster Perpetual, e non venne mai messo in commercio. Ma fu la base perfetta per permettere a Rolex di testare le sue innovazioni nel campo dell’orologeria di precisione a 8.000 metri da terra; così da poter sviluppare i futuri modelli della linea Explorer – il primo vero orologio “tecnico” realizzato della Casa orologiera di Ginevra. Dall’orologio portato al polso dal Hillary deriveranno infatti molteplici referenze – con quadrante nero, indice a freccia sovradimensionato alle ore 12 e numeri arabi alle ore 3, 6 e 9 – che porteranno sempre il nome Explorer, a partire dalla 6350 da 36 mm, fino alla 214270 da 39 mm, l’ultima a raccogliere il testimone di quel vecchio prototipo che oggi è esposto nel Beyer Watch and Clock Museum di Zurigo e che riporta impressa sul quadrante chiaro la sola identificazione di Rolex “Oyster Perpetual – Officially Certified Chronometer”: Quello stesso orologio che segnò imperterrito i 300 minuti che servirono al giovane alpinista neozelandese per scalare la più alta vetta della Terra.

Il primo Rolex Oyster Perpetual Explorer – Officially Certified Chronometer – , in acciaio da 36 mm, ref. 6350. Quadrante nero con lancette Mercedes, numeri arabi ai quarti e indice a freccia al 12, luminescenti. Movimento automatico, calibro A296.

Va detto che un altro membro della spedizione, Alfred Gregory, che si fermò a 8.500 metri, a poco più di 350 metri dalla vetta, aveva, invece al polso, un Rolex Oyster Perpetual Precision, ref. 6098, denominata successivamente “Pre-Explorer”, in acciaio con secondi al centro e quadrante “nido d’ape”.  

Raggiunta la cima dell’Everest alle 11.30 di quello stesso giorno, Edmund Hillary dimostrò al mondo intero che l’uomo fosse capace di spingere sempre oltre i propri limiti. Mentre piantava una croce sulla vetta, e il suo fedele compagno lo guardava soddisfatto, mangiando una parte dei biscotti e cioccolata che poi avrebbe lasciato come dono agli dei, accanto a gatto di pezza che gli aveva affidato il colonnello Hunt, il Sole non era mai sembrato così vicino a un uomo senza ali. I due re del mondo osservarono la Terra da lassù per 15 minuti, prima di discendere al campo base. Con tenacia e concentrazione si possono compiere imprese che sembrano irraggiungibili, sostenne al suo ritorno Hillary. E poteva ben dirlo dopo la conquista della quale si era reso artefice, lui, bambino mingherlino che scoprì per puro caso la passione per le escursioni in montagna, portandola al culmine del professionismo e nel guinness dei primati. Nonostante la prima frase che abbia proferito una volta raggiunta la vetta, pare sia stata: “Abbiamo battuto questo bastardo!“, al suo ritorno fu immediatamente elevato al titolo di baronetto, il 6 giugno 1953, dalla nuova regina del Regno Unito e del Commonwealth: la longeva Elisabetta II che tutti conosciamo (incoronata subito dopo l’impresa, il 2 giugno 1953). Proseguì, poi, nelle esplorazioni del globo, portando a termine un’altro grande traguardo nel gennaio del 1958, quando attraversò l’Antartide raggiungendo il Polo Sud (al suo polso c’era sempre un Rolex Oyster Perpetual Certified Chronometer, il ref. 6084, regalatogli da Rolex India).

A margine della grande storica impresa sull’Everest, Lord Hunt, leader della spedizione, confermò alla Casa orologiera che li aveva supportati con i suoi strumenti di misurazione del tempo, come gli orologi “Oyster Perpetual” di Rolex si fossero dimostrati “parte essenziale delle loro attrezzature, quale strumento di estrema affidabilità e precisione nella misurazione del tempo”. Dopo la spedizione, tutti gli alpinisti dovettero restituire i loro modelli affinché Rolex potesse effettuare ulteriori test approfonditi, per poi riconsegnarglieli indietro quale regalo e ricordo di un’impresa straordinaria.

Il monte Everest


Romano, appassionato di orologi fin dalla tenera età, vivo nel passato ma scrivo tutti giorni per Il Giornale e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari e notizie dall'estero. Ho firmato anche sul Foglio, L'Intellettuale Dissidente e altre testate.

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